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Dott.ssa Stefania Ravasi

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Insegnare la gestione delle emozioni ai bambini: 4 consigli utili

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Le emozioni colorano la nostra vita, anche quella dei più piccoli che però non sempre hanno a disposizione gli strumenti per affrontarle: insegnare fin dai primi anni a riconoscere, nominare e gestire le emozioni è un prezioso strumento di benessere, utile per tutta la vita.

1. Gestire le emozioni

Come insegnare ai bambini a gestire le emozioni?

La nostra vita quotidiana ci insegna che non è sempre facile farlo: quante volte capita a noi adulti di sentirci arrabbiati ma non riusciamo a calmarci e focalizzarci sul lavoro o su quello che stiamo facendo, o che volte ci troviamo in uno stato di ansia senza tuttavia riuscire a capire cosa ci pone in quello stato?

Allo stesso modo accade ai bambini che, non avendo ancora sviluppato l’emisfero sinistro deputato al ragionamento, alla pianificazione, all’organizzazione, spesso non riescono a modulare rabbia, tristezza paura, gioia, con comportamenti difficili da gestire, contenere e ridimensionare.

2. Accettare le emozioni

Per imparare a gestire in maniera più funzionale le emozioni, una prima cosa fondamentale è imparare ad accettarle e legittimarle tutte anche quelle cosiddette e ingiustamente considerate negative, e in primis sono gli adulti a doverlo capire e mettere in pratica.

Quando noi sentiamo parlare di emozioni spesso pensiamo infatti che siano da valorizzare solo quelle positive e che le altre siano da evitare, si fatica a vedere il figlio triste, arrabbiato, impaurito, perciò tendiamo a sminuire queste emozioni con frasi come: “non c’è da aver paura!”, “non essere triste”; ma in questo modo i bambini si sentono confusi e temono di essere sbagliati perché provano qualcosa che il genitore non riconosce.

3. I segni delle emozioni

In realtà, tutte le emozioni di base (rabbia, tristezza, gioia, paura e disgusto) sono indipendenti dalla cultura di appartenenza, appartengono a tutte le popolazioni anche da quelle più diverse da noi per cultura, tanto da manifestarsi anche attraverso delle configurazioni facciali specifiche e universali, e forse sapere questa cosa forse può aiutare a normalizzare anche le emozioni negative, a legittimarci e legittimarle di più, comprendendo che hanno un significato e un’utilità ben precisa, quella di comunicare/esprimerci/orientare il comportamento.

Pensateci, sarebbe possibile per un genitore consolare un bambino impaurito ma che non manifesta la propria paura?

Oppure sarebbe possibile per un bambino capire che sottrarre un gioco è un comportamento non desiderabile e dunque da non mettere in atto, se non potesse sperimentarne la rabbia?

Una volta imparato questo, come insegnare ai bambini a gestire le emozioni nella loro intensità?

4. 4 consigli per insegnare a gestire le emozioni

  1.     Innanzitutto, non abbiate fretta, questa è una capacità che si acquisisce con la crescita e con lo sviluppo cerebrale, esiste infatti un timing fisiologico che dura addirittura fino alla maggiore età affinchè emisfero sinistro ed emisfero destro possano iniziare a collaborare in maniera funzionale, imparando sì a sperimentare emozioni ma in maniera sempre meno pervasiva e soverchiante.
    Al di là della genetica i genitori possono intervenire in maniera favorevole, non tanto per accorciare i tempi quanto più per favorire e consolidare questa integrazione e questo maggior equilibrio tra emisferi e dunque tra capacità questa capacità
  2.     Il primo strumento siamo noi stessi e le proposte relazionali che quotidianamente offriamo ai nostri figli, perché ricordiamoci che i bambini apprendono per osservazione dunque prendendo a modello gli adulti di riferimento: dunque, vedendo i propri genitori non in preda alla rabbia ma con capacità di modulazione, apprenderanno più semplicemente a fare altrettanto.

3.      Il bambino deve essere “sentito e compreso” a livello profondo nella mente dei suoi genitori. Un bambino crescerà tanto più sicuro e protetto quanto più avrà al suo fianco adulti capaci di sentire e pensare ciò che lui sente e pensa e che, comprendendo i suoi stati mentali, forniranno risposte e soddisfazione a quei bisogni che lui non sa esprimere.

Si devono riconoscere le emozioni del piccolo, dar loro un nome e sintonizzarsi con empatia dicendogli per esempio: “ti vedo triste…”; poi accogliere l’emozione negativa: “ti capisco, anch’io sarei triste se mi fosse capitato….”, “Mi dispiace che tu sia arrabbiato o triste, o deluso… “. Quando i bambini sperimentano un’emozione, ad esempio rabbia, dire loro di “calmarsi” o punirli non cambierà il fatto che loro si sentano arrabbiati; al contrario, interventi di questo tipo comunicano al bambino che le sue emozioni sono “cattive” o “sbagliate”, così, quest’ultimo cercherà di reprimerle con conseguenze dannose sul proprio sviluppo.

Per farlo sentire compreso è importante narrare, raccontare, parlare delle esperienze e delle cose che accadono:  vuol dire costruire dei significati, ripercorrere gli eventi della giornata o di una vicenda dotando di senso, e lo si può fare non solo attraverso la parola ma in tutte le forme della narrazione, quindi anche con la lettura di fiabe o storie, che costituiscono dunque un’attività fondamentale a questa età, perché sono una metafora dell’esperienza umana, sono la raffigurazione di concetti astratti presenti nella vita come il bene, il male, il bisogno, la sfortuna, la morte, e tutte le emozioni connesse a tali tematiche, che i bambini ancora non sanno come affrontare, e attraverso le storie lo imparano piano piano.

4.     Un altro fattore fondamentale è porre una netta distinzione tra le azioni e le emozioni che proviamo: in particolare, è importante insegnare ai propri figli che non possiamo scegliere le nostre emozioni, ma possiamo scegliere il modo in cui ci comportiamo; ad esempio, va bene arrabbiarsi, ma non è giusto colpire gli altri o lanciare gli oggetti.

Abituare i bambini a parlare delle emozioni, servirà tantissimo quando saranno adolescenti e si troveranno ad affrontare delle vere e proprie tempeste emotive. Sarà per loro un aiuto sapere che “come succede a me, succede alla mia mamma”.

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Articolo realizzato da:
Dott.ssa Stefania Ravasi
Psicologa psicoterapeuta dell’età evolutiva
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