Gioco
Dott.ssa Anna Dioni

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Il gioco simbolico

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È chiamato gioco simbolico quello dove qualcosa viene utilizzata per “significare” qualcos’altro: un elemento fisicamente presente è usato per rappresentare un elemento assente che viene evocato attraverso la mente.

1. Che cos’è il gioco simbolico

Nello spazio tra realtà e fantasia nasce il gioco del “far finta” che ha un ruolo importante nello sviluppo del bambino.

Per giocare a “far finta” di solito i bambini utilizzano oggetti, azioni e situazioni come simboli, in modo da rappresentare qualcosa che non è presente ma che si può immaginare. È chiamato gioco simbolico quello dove qualcosa viene utilizzata per “significare” qualcos’altro: un elemento fisicamente presente è usato per rappresentare un elemento assente che viene evocato attraverso la mente.

Con il gioco simbolico i bambini esercitano la propria immaginazione e creatività, sviluppano autoconsapevolezza, imparano a riconoscere le emozioni proprie e altrui, esplorano mondi sconosciuti, esercitano abilità cognitive e relazionali, sviluppano le prime forme di pensiero astratto, arricchiscono il proprio lessico.

È importante creare degli spazi in cui il bambino può sperimentare il gioco simbolico. Ad esempio, un piccolo angolo in cui il bambino può far finta di cucinare diventando uno chef, oppure diventare un dottore, uno scienziato, un inventore…

Inoltre, si può predisporre una “cassetta dei travestimenti” con dentro vecchi vestiti, cappelli, borse, guanti, sciarpe, camicie da notte, pezzi di stoffa che non si usano più.In questo modo il bambino sarà libero di giocare a travestirsi come meglio crede, viaggiando con la fantasia.

2. Gli effetti del gioco simbolico

Se osserviamo le attività di un bambino nei primi mesi di vita vedremo che è orientato a giocare con gli oggetti toccandoli, assaggiandoli, annusandoli e facendoli muovere, rotolare, cadere. Insomma, è impegnato a conoscere come sono fatte le cose intorno a lui e lo fa in allegria, utilizzando tutti i suoi organi di senso.

Quante volte abbiamo visto un bimbo buttare ripetutamente a terra un giocattolo solo per sentire il rumore provocato dalla sua azione? Imparare è proprio divertente!

Grazie alle sue scoperte, osservazioni e deduzioni, il nostro piccolo “esploratore sensoriale” inizia pian piano a conoscere non solo le caratteristiche, ma anche la funzione degli oggetti e a collegarli a possibili schemi d’azione: «A cosa serve il cucchiaio? Cosa posso fare con un pettine?».

In questo svolge un ruolo fondamentale il processo di imitazione: «Replico i gesti e le azioni che vedo svolgersi attorno a me, ciò che fanno i miei genitori». Ed ecco che tra 12 e 18 mesi (chi prima, chi dopo), il bambino comincia a giocare a “far finta di”, ripetendo gesti e azioni conosciuti, spesso rivolti a un estasiato pubblico di adulti che lo incoraggia e sta al gioco: «Prendo in mano il bicchiere e bevo per finta, chiudo gli occhi come se dormissi e poi faccio “cucù”!».

Si cresce in fretta e dopo qualche tempo vedremo il nostro piccolo approfondire sempre di più il gioco: esempio classico è quello del caffè finto offerto alla bambola.Il bambino sa che la tazza è vuota e che la situazione è una finzione, ma l’oggetto nel gioco è ancora utilizzato secondo la sua funzione “reale” (in questo caso viene rispettata la funzione della tazza come contenitore di liquido da bere).

3. Un nuovo modo di vedere il mondo

Gli studiosi individuano intorno ai due anni d’età l’inizio del vero e proprio gioco simbolico, quello in cui «il pensiero è separato dagli oggetti e l’azione nasce dalle idee più che dalle cose: un pezzo di legno comincia a essere una bambola e un bastone diventa un cavallo».

Il bambino trasforma gli oggetti facendoli diventare, come per magia, ciò che gli serve per il suo gioco (se ha bisogno di una macchina prende una seggiolina e comincia a guidare), dimostrando di sperimentare una forma di pensiero nuova, che gli permette di vedere oltre le cose, di usare la fantasia e l’immaginazione.

Ciò è possibile anche grazie all’evolversi della cosiddetta “capacità rappresentativa del pensiero”: il bambino riesce a pensare e a immaginare nella sua mente cose, persone e situazioni indipendentemente dalla loro presenza, ed è inoltre capace di creare delle associazioni mentali, cogliendo somiglianze nella forma, nel colore e nelle dimensioni, ad esempio, una matita potrebbe somigliare ad una bacchetta magica.

4. L’evoluzione del gioco simbolico

Nel periodo tra i tre e i sei anni le forme del gioco simbolico progrediscono ulteriormente. Se nei primi giochi di finzione era solo il bambino ad avere un ruolo attivo e gli oggetti rimanevano muti, a poco a poco anche pupazzi e bambole prendono vita: il bambino li fa parlare, camminare, recitare una parte.

La struttura e le competenze in gioco si fanno poi ancora più complesse quando i bambini iniziano a mettere in scena delle situazioni, assegnando ruoli alle persone e creando veri e propri copioni: «Facciamo finta che io sono… e tu sei…?». Mamme, papà, indiani, supereroi, maestre, parrucchiere, dottori, gelatai e chi più ne ha più ne metta.

A volte sono episodi e contesti del proprio vissuto a essere messi in scena, momenti che il bambino ha bisogno di rivivere, nel mondo protetto della finzione, per trovare un nuovo significato alle proprie esperienze, per sperimentare diversi punti di vista, per “esorcizzare” le proprie paure e tanto altro.

Altre volte la creatività permette di superare i propri limiti, di immaginarsi diversi, di proiettarsi nel futuro o nel mondo dei grandi, di esprimersi liberamente mettendo in scena emozioni forti senza la paura di essere giudicati.

In alcune occasioni il bambino chiederà a noi adulti di entrare nel suo gioco indossando un ruolo diverso (e osserverà con attenzione la nostra risposta). In altri momenti giocherà da solo senza voler essere disturbato. In altri ancora il gioco verrà organizzato con i coetanei e ci saranno litigi per decidere “chi fa cosa” o come andrà a finire la storia inventata: trovare l’accordo sarà una parte importante dell’esperienza e della condivisione del divertimento.

Giocare a “essere un altro” può inoltre aiutare il bambino a comprendere un punto di vista diverso dal proprio e può costituire un’ottima occasione di osservazione per l’adulto, perché, attraverso la finzione, il bambino racconta sé stesso e il mondo dei grandi che lo circonda.

5. La “teoria della mente”

Le diverse forme di gioco simbolico e di finzione che accompagnano il bambino nella sua crescita sono state, e sono tuttora, oggetto di studi in diverse discipline, in particolare per quanto riguarda il loro legame con lo sviluppo della metacognizione e della teoria della mente.

La metacognizione è la capacità di auto-riflettere sui propri pensieri (io posso pensare ai miei pensieri). Grazie all’attività metacognitiva possiamo non solo conoscere ma anche in qualche modo agire sui nostri stati mentali.

Con il termine “teoria della mente”, invece, si intende un’abilità umana molto complessa che permette di riflettere non solo sui propri pensieri, ma anche su quelli delle altre persone, riuscendo a formulare delle ipotesi sul comportamento altrui.

Questa abilità cognitiva è fondamentale per la nostra vita e la usiamo tutti i giorni anche senza accorgercene. Ancora una volta, entrando in quell’universo che è il gioco dei bambini, ci meravigliamo di quanto siano complesse le attività in essere dentro i comportamenti infantili, attività a cui, con leggerezza, noi adulti rischiamo di non dare importanza.

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Articolo realizzato da:
Dott.ssa Anna Dioni
Pedagogista clinica e consulente pedagogica
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