figlio preferito
Dott.ssa Cinzia Trigiani

Dott.ssa Cinzia Trigiani

Il figlio preferito

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“Qual è il tuo figlio preferito?”

Una domanda scomoda la cui risposta positiva sarebbe, per i più, inconfessabile.

Qui i 4 assi per riconoscere il fenomeno, comprenderne le conseguenze ed adottare comportamenti riparatori!

1. Al cuor non si comanda!

Quando si parla di figli, i genitori tendono a stare vigili ed anche sulla difensiva.

Quando si parla di figli si parla di cuore, di sentimenti profondi e a volte contrastanti, di radici sapienti ed anche di istinti naturali.

I sentimenti per i figli sono un argomento complesso e non sempre del tutto presente alla  consapevolezza sia del genitore che del figlio. Quante volte nella relazione genitore-figlio si attivano agiti inspiegabili, routine che si ripetono a prescindere dalla volontà. Se tra moglie e marito, si dice, non mettere il dito, beh è ancora più delicato farlo quando si parla di genitori e figli.

Sulla disparità di trattamento dei figli negli USA hanno coniato un acronimo: PDT (Parental Differential Treatment), che fa riferimento  al  “trattamento differenziale del genitore” rispetto ai propri figli e cioè parla “a cielo aperto” del fatto che i genitori possono avere un figlio preferito.

Per un genitore pensare, accettare o addirittura ammettere di avere un atteggiamento preferenziale verso un figlio è quasi impossibile. Fa male anche solo dirlo a se stessi! Probabilmente, il desiderio di essere un genitore leale e giusto è talmente forte da non concepire che il proprio comportamento lasci trasparire delle preferenze.

2. Il figlio preferito esiste.

Non necessariamente preferito significa “più amato”, piuttosto si declinerebbe su “più attenzionato” nel suo specifico modo di essere; quel figlio che in qualche modo cattura l’attenzione del genitore.

Il genitore può attivare comportamenti  preferenziali quando si accorge di una peculiarità particolare di quel figlio: una fragilità, un disagio, una somiglianza con il proprio modo di essere che attiva una maggiore e più facile empatia.

Il comportamento preferenziale si può attivare quando, il genitore, vede in un figlio la realizzazione di ciò che egli sarebbe potuto essere, quando attraverso il figlio si rispecchia in un sé più evoluto. Può farlo anche perché sopravvaluta quel figlio o perché lo sottovaluta. In entrambi i casi ha una visione/percezione del figlio che lo chiama  ad attivarsi in modo diverso rispetto agli altri figli.

Le motivazioni possono essere infinite ed alcune di queste anche consapevoli, cioè presenti nella mente del genitore e giustificate!

Ciò che è sicuro è che se i genitori possono non essere consapevoli di avere un figlio preferito, qualcun altro lo è. Chi?

3. I figli ti vedono e sanno…

Infatti sia il figlio preferito che quello meno preferito ce l’hanno chiara come il sole la differenza, forse non ne comprendono pienamente le motivazioni e forse se ne danno delle loro, ma ciò che è certo è che si accorgono che in casa esiste un figlio preferito.

Lo sguardo di mamma e papà è molto importante per i figli di qualunque età. Come dico sempre:

“I genitori hanno sempre un posto in prima fila nello spettacolo della vita del proprio figlio, il loro applauso è quello più importante!”

Quando un figlio incrocia lo sguardo amorevole del genitore, con gli occhi, percorre la sua traiettoria, segue la sua direzione e scopre che il destinatario di quella “carezza ambita” è destinata al proprio fratello, è probabile che provi gelosia. Come biasimarlo?

La gelosia fa parte della vita familiare, nasce dal bisogno del figlio di essere nel cuore del genitore. Quando i figli sono più di uno è vero che “l’amore si moltiplica” ma è anche vero che il tempo si divide!!

Quel desiderio vitale di essere in “quel” cuore fa litigare i fratelli per contendersi il posto! Si litigano il consenso, lo sguardo positivo, l’applauso ed a volte anche il rimprovero perché anche quest’ultimo può essere un modo per sentirsi “sorvegliati”, “visti” e perciò amati da chi tiene a loro.

Ricordo la mia primogenita Matilde…

Aveva 4 anni quando nacque sua sorella Isotta, venne in ospedale con in mano un elefantino di peluche rosa che a sua volta portava con sé un fiorellino. Vide la piccola e subito le sorrisero gli occhi per la gioia. La sua massima manifestazione di accoglienza l’ho colta quando, ad un certo punto Isottina, si mise a piangere nella culletta della stanza dell’ospedale e Matilde mi disse: “Piange perché vuole la sua mamma!”, presi Isotta fra le mie braccia e quella frase mi è rimase forte nel cuore… la “sua”  mamma. Matilde aveva già capito che io non ero più la mamma esclusiva che aveva avuto per quattro anni. Provai gioia e dolore nello stesso tempo, ma capii che la mia primogenita mi stava dando il permesso di essere condivisa. Con il passare dei mesi e poi di qualche anno, la mia relazione, con Isotta, divenne sempre più intensa, non parlava e si muoveva molto, aveva difficoltà con il sonno e quindi richiedeva molte attenzioni. Per questi motivi, Matilde la mattina si preparava per la scuola in modo autonomo, mentre io preparavo sua sorella e non chiedeva molto aiuto, le preparavo la merenda e gliela mettevo sulla sua scrivania. Puntualmente, un attimo prima di uscire di casa, accadeva una cosa che mi faceva arrabbiare molto, le facevo sempre due domande, le chiedevo se aveva preso la merenda e se si era lavata i denti. Alla prima mi rispondeva di “si” ed alla seconda di “no”.

Io partivo con la “predica”, non era possibile che se ne dimenticasse tutti i giorni, non era possibile che non capisse che doveva lavarsi i denti! Era inaccettabile che puntualmente ogni mattina quando glielo chiedevo mi rispondeva di “no”!

Mentre accadeva tutto questo, una mattina,  ho avuto un’illuminazione.

Tenendo conto che la bambina faceva tutto da sola, si lavava, si vestiva, preparava il suo zaino ed usciva di casa, mi è venuta una domanda più intelligente delle precedenti: “Sarà per caso che Matilde non aderisce alla richiesta in modo corretto per vedere se me ne accorgo? Se mi accorgo di lei mentre sono impegnata a preparare Isotta? E se fosse veramente così cosa potrei fare io?”

Il giorno dopo stessa ora e stessa procedura, arriva il momento in cui le chiedo della merenda e mi risponde di “si”, le chiedo se ha lavato i denti e mi risponde di “no”, allora io cambio la routine, la guardo amorevolmente e le dico “Matilde, tesoro della mamma, lavare i denti è importante… forza ritorna in bagno e vai a lavarli ma non prima di essere passata dalla mamma che desidera darti un bel bacio!”. Lei sorrise compiaciuta, si fece dare un bacio sulla guancia paffuta, liscia e soda e di lì in poi è continuata la routine della verifica ma con la complicità del bacio fino a quando si è sentita rassicurata ed i denti non sono stati più trascurati anche senza che glielo ricordassi!!

Questo per dire che la richiesta di attenzione, meglio esplicitata, come “mi vuoi bene, sono importante per te, esisto anche io nella tua mente e nel tuo cuore?” può arrivare in forme inconsapevoli, diverse, indefinite.

4. Il figlio preferito ha dei vantaggi reali?

Apparentemente si, sicuramente lo sguardo amorevole del genitore fa bene. Ma ci sono dei rischi che variano a seconda della persona e della sua sensibilità.

Dicevo che i figli “sanno”. Pertanto il figlio preferito sa.

Se mai non lo dovesse sapere, con molta probabilità il fratello che non gode di questa preferenza glielo farà notare.

Quali potrebbero essere i comportamenti/pensieri che potrebbero scaturire? Vediamone solo alcuni:

  • Il figlio preferito potrebbe avvantaggiarsene ulteriormente quando si confronta con gli altri fratelli. Potrebbe abusare di questo privilegio alimentando la conflittualità tra i fratelli.
  • Il figlio potrebbe dispiacersi della sofferenza che, il suo essere preferito, arreca ai fratelli. Potrebbe incolpare i genitori o addirittura se stesso.
  • il preferito potrebbe pensare di essere meno capace degli altri e per questo privilegiato dai genitori/genitore
  • potrebbe abituarsi ad essere avvantaggiato e questo sarebbe un privilegio riservato solo all’interno della famiglia; infatti uscendo di casa ed entrando nel suo mondo sociale potrebbe soffrire perché non riceve lo stesso trattamento di riguardo.

Potrei continuare ma potreste farlo anche voi!

Tutti siamo stati figli, cugini, amici di altri figli. Sarà capitato di vivere od osservare queste dinamiche che si possono sviluppare molto naturalmente nelle famiglie. Ciò che è importante è osservare il fenomeno naturale e non affidarlo allo spontaneismo ma impegnarsi concretamente per porvi rimedio.

Il figlio preferito esiste e per quanto faccia male ammetterlo, poterselo dire può aiutare a riportare il giusto equilibrio in casa e nelle relazioni!

Dare a se stessi la possibilità di riconoscere, anche solo fra sé e sé, che si ha un’attenzione maggiore per un figlio piuttosto che per un altro è il primo passo verso un cambiamento costruttivo e sano.

Magari le ragioni per attenzionare un figlio sono valide e legittime, rimane comunque necessario trovare lo spazio ed il tempo per far sentire bene anche gli altri figli.

In che modo?

Con i comportamenti riparatori che richiedono di fare un ulteriore SFORZO. Sforzarsi di non usare il metro dell’uguaglianza ma dell’equità esplicita, quella verbalizzata che spiega ai ragazzi i comportamenti “particolari” dei genitori continuando a  valorizzare e legittimare le differenze dei figli per età, gusti, temperamento, talento e contesto.

La famiglia è un insieme di persone che provano a seguire il cuore e fanno un percorso insieme. É il tentativo di un progetto e come tutti i progetti va attenzionato in modo corretto orientando i sacrifici, indiscussi, nella direzione più sana per tutti!

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Articolo realizzato da:
Dott.ssa Cinzia Trigiani
Consulente della relazione di coppia e della famiglia
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