Comportamenti aggressivi
Dott.ssa Roberta Pigini

Dott.ssa Roberta Pigini

Comportamenti aggressivi: morsi, graffi e litigi. Dinamiche faticose tra bambini

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Quante volte ti sarà capitato di sentir dire a tuo figlio che un compagno in classe o un coetaneo al parco lo ha spinto, colpito, o morso? Oppure, quante volte hai trovato lividi o graffi e hai chiesto cosa sia successo e chi è stato a procurarli?

In età infantile, in particolare nella fascia 0-6 anni, i comportamenti aggressivi sono comuni e sono tipicamente connaturati alla tappa evolutiva.

Queste dinamiche che sfociano in conflitti fisici sono spesso molto faticose per i bambini e per gli adulti che li accompagnano nel loro percorso di crescita, che siano educatori, maestri o genitori.

Indice

1. Per quali motivi i bambini hanno questi comportamenti aggressivi?

Molti genitori nelle consulenze che effettuo mi chiedono perché il loro figlio picchi, quando loro non hanno mai usato la violenza.

Mi chiedono se sono comportamenti aggressivi che possono aver osservato al di fuori del contesto familiare e che in quel tale periodo stia imitando.

Se pur è vero che in questa fase l’imitazione rappresenta una parte fondamentale dell’apprendimento, non è altrettanto possibile che il bambino attui comportamenti aggressivi per emulazione.

Spinte, colpi, morsi sono azioni spontanee, naturali che avvengono nell’immediato di un certo evento scatenante. Questi accaduti sono manifestazioni comportamentali fisiologici, che non denotano nel bambino cattiveria, né maleducazione né violenza.

I comportamenti aggressivi non sono premeditati e gli “aggressori” non hanno alcuna intenzione di ferire o nuocere all’altro; per questo è molto importante non etichettare come violento o bullo o pericoloso.

I comportamenti aggressivi sono il risultato di un sistema nervoso ancora immaturo poiché il cervello dei bambini è ancora in fase di sviluppo.

2. Esempi di comportamenti aggressivi

Prendiamo in esempio M. un bambino di 18 mesi. M. è in grado di camminare padroneggiando una certa abilità, nella corsa non è altrettanto coordinato e non è in grado di saltare.

Il linguaggio è presente ma in forma primordiale, pronuncia una quindicina di parole che sono facilmente comprensibili dagli adulti, mentre molti altri termini non sono presenti o la loro pronuncia non li rende riconoscibili.

È ovvio a tutti che questo bambino stia crescendo e con lui il suo sistema nervoso si stia sviluppando.

Ipotizziamo che M. veda un gioco che ha in mano un altro bambino della sua età. Questo gioco lo attrae moltissimo, lo brama con tutto sé stesso. M. si avvicina al bambino e tenta di prenderglielo, l’altro si divincola, lo spinge, non vuole darglielo. Non parlano.

  1. Non riesce ad ottenere quello che vuole. Dà un morso all’altro bambino. Entrambi piangono.
  2. Non si è avvicinato al bambino con l’intento di morderlo, non è stata un’azione premeditata.

Il morso è il risultato di una sequenza di azioni e di emozioni che M non è stato in grado di controllare.

Il linguaggio poco sviluppato (ancora più difficile da utilizzare in contesti emotivi importanti come l’esempio ci riporta) e la ridotta competenza nell’autoregolazione emotiva producono un’immediata risposta fisica.

I bambini, soprattutto al di sotto dei 3 anni, non riuscendo a ricreare un approccio adeguato alle loro richieste, con capacità linguistiche non sufficienti per mediare la contesa e sopraffatti dalle emozioni, che non riescono a regolare in modo autonomo, non possono fare altro che esprimersi con il loro corpo, attuando a volte questi comportamenti aggressivi.

Essendo l’aggressività connotata nella fase di sviluppo è del tutto normale (fatte alcune eccezioni) che i bambini la utilizzino nella relazione tra pari.

Gli adulti devono avere la consapevolezza che crescendo, con lo sviluppo delle competenze linguistiche, cognitive, emotive e sociali i bambini impareranno ad utilizzare sempre meno il corpo in favore del linguaggio.

3. Cosa deve fare l’adulto quando assiste a comportamenti aggressivi?

Il bambino ha bisogno di tempo, ha bisogno di crescere e di maturare per affrontare in maniera adeguata situazioni difficoltose; questo non vuol dire che l’adulto non debba o non può aiutarlo in questo percorso, anzi.

L’adulto è il punto di riferimento per il bambino, sempre. L’adulto quando succedono questi episodi deve accompagnare il bambino, deve indicare una strada migliore di quella intrapresa.

È importante, come già detto precedentemente, non colpevolizzare il bambino, non farlo sentire sbagliato, poiché sbagliato non è il bambino, né l’emozione ma i comportamenti aggressivi.

Il bambino che morde, spinge, perché ha una regolazione emotiva immatura ha necessità che una persona con una maturità emotiva consolidata (l’adulto) lo aiuti ad elaborare le sensazioni e le emozioni che sta provando e che non è riuscito a controllare.

Il genitore quindi, o l’educatore, mantenendo la calma fornisce lui un contenimento, se necessario anche fisico, e parla sull’accaduto, fornendo al bambino le parole di cui aveva bisogno.

Ad esempio: “M. so che volevi tanto quel gioco, ma in quel momento lo aveva un altro bambino. Lo puoi chiedere con la voce. Mi presti il gioco per favore? Se non riesci chiedi a me, ti aiuto io. Ricordati però che non si morde, mai! Il morso fa male, vedi che sta piangendo?”

Non servono punizioni, non serve allontanare, (anzi, potremmo avere l’effetto opposto) e non serve parlarne dopo ore; ricordiamoci che i bambini vivono nel qui e ora!

I bambini hanno bisogno di sentire che l’adulto, il loro punto di riferimento, rimanga tale e che non ci sia una crepa nella loro relazione dovuta al loro comportamento; con pazienza e costanza riusciranno a controllare le loro emozioni e ad utilizzare strategie alternative.

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Articolo realizzato da:
Dott.ssa Roberta Pigini
Educatrice professionale per la prima infanzia
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