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Dott.ssa Elisa Trezzi

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Depressione post-partum: cos’è e come prevenirla

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Dopo la nascita di un bambino può capitare che la donna non si senta così felice come pensava di essere. Al contrario, può sentirsi triste senza motivo, irritabile, incline al pianto, “inadeguata” nei confronti dei nuovi compiti che la attendono.

1. Cos’è la depressione post-partum

Dopo la nascita di un bambino può capitare che la donna non si senta così felice come pensava di essere. Al contrario, può sentirsi triste senza motivo, irritabile, incline al pianto, “inadeguata” nei confronti dei nuovi compiti che la attendono.

Nella maggior parte dei casi questo stato d’animo è del tutto fisiologico e passeggero, nel giro di pochi giorni questi sentimenti negativi passano e la donna può godere appieno della vicinanza del suo piccolo. Si parla in questi casi di “maternity blues”: uno stato depressivo temporaneo e senza nessuna conseguenza.

Ben più seria è la “depressione post partum”, per cui la donna presenta un umore disforico e disturbi del sonno, dell’appetito, psicomotori, affaticabilità, presenza di senso di colpa e di pensieri suicidari, che durano per almeno una settimana, per alcuni mesi e addirittura anni.

Molti studi hanno focalizzato l’attenzione sull’impatto della depressione materna sullo sviluppo del bambino e su come essa possa essere associata a disturbi di tipo comportamentale, cognitivo ed emotivo.

La depressione post partum può compromettere la capacità materna e, di conseguenza, anche quella della diade madre-bambino.

Le interazioni madre depressa-bambino sono state molto studiate ed è emerso che le madri depresse tendono a esprimere pochissime emozioni positive e molte negative e non riescono a fronteggiare il pianto del bambino. Inoltre vi è bassa coordinazione negli stati emotivi tra i due.

Le interazioni non sono solo di disimpegno e ritiro, ma anche di intrusività e iper stimolazione.

2. Come tutto questo impatta sul bambino?

Anche il bambino comincia a esprimere più emozioni negative, che non vengono regolate, esprime poche emozioni positive, irritabilità e difficoltà a essere consolato dalla madre.

Tutto ciò ha un impatto non solo sulla relazione tra la figura materna e il suo bambino ma anche su tutto lo sviluppo successivo del bambino stesso: interesse limitato rispetto agli oggetti e ad altre persone, sviluppo cognitivo rallentato, a 12 mesi prevalenza di pattern di attaccamento insicuro, trasferimento dello stile di interazione rivolto alla madre verso gli altri adulti significativi, ipervigilanza, disturbi del sonno, disturbi dell’alimentazione con possibile difetto di crescita non organica, disturbi comportamentali con difficoltà a gestire l’emotività e in particolare la rabbia e gioco poco articolato.

Le influenze a lungo termine nel bambino potrebbero essere riferite al ritiro nelle relazioni sociali con i pari e con gli altri adulti, strategie difensive nei confronti delle emozioni e, a livello cognitivo, difficoltà di apprendimento e incertezza nei compiti di problem solving.

3. Gli studi sulla depressione post-partum

Importanti ricerche scientifiche hanno approfondito quelli che sono i fattori che potrebbero predire lo sviluppo di una depressione nella madre:

  • Vissuti precedenti di disturbi di ansia/ depressione nel ciclo di vita e di gravidanza;
  • Familiarità con disturbi depressivi;
  • Eventi di vita stressanti (lutti nell’ultimo periodo di gravidanza);
  • Scarso supporto sociale;
  • Rapporti di coppia conflittuale;
  • Basso status socioeconomico.

La presenza di reti di supporto familiari ed extrafamiliari efficaci che possano migliorare le capacità di parenting della madre e la possibilità del bambino di usufruire di relazioni significative positive con anche altri adulti (nonni, caregiver, educatori) sono, d’altro canto, alcuni dei fattori ambientali che attenuano l’impatto della depressione sul bambino.

4. Che tipo di prevenzione?

È fondamentale spostarsi da una visione concentrata esclusivamente sul dopo parto a una prospettiva più ampia che comprenda l’intero periodo perinatale.

Di conseguenza, tale prospettiva sollecita a mettere in atto interventi preventivi, di tipo educativo, oltre che di supporto psicologico. É importante favorire il coinvolgimento del partner nell’assunzione del ruolo genitoriale e nel fornire sostegno alla donna attraverso interventi di preparazione alla genitorialità.

In particolare, l’ascolto partecipe e la comprensione del disagio e delle difficoltà della neomamma dovrebbero essere ritenuti strumenti importanti attivati dalla sensibilità e delle competenze di ogni professionista coinvolto nel delicato periodo della gravidanza e del post partum.

Fin dalla gravidanza la mamma può lavorare per il suo benessere e quello del suo bimbo seguendo semplici ma fondamentali step che andranno a costituire le sue sicurezze:

  • Informazione: letture sul tema e partecipazione al corso di accompagnamento alla nascita
  • Supporto sociale e professionale: corso pre-parto, aggancio a consultori familiari, associazioni e servizi dove si possono conoscere altre mamme e professionisti dell’ambito materno infantile, come la psicologa perinatale, la consulente sull’allattamento, la consulente babywearing, l’ostetrica e la pedagogista.
  • Organizzazione del supporto pratico, sia nel post partum che al rientro al lavoro: rete familiare, nidi, baby sitter, ecc.

5. Conclusioni

Crescere un bambino è un lavoro meraviglioso e faticoso al contempo, che si impara strada facendo.

Richiede la capacità di decentramento e problem solving, la capacità di prendere decisioni, di essere multitasking. Niente e nessuno può insegnare ad essere genitore, lo si impara solo strada facendo.

Si tratta di acquisire la capacità di sospendere il giudizio interiore, spesso troppo autocritico, abbandonare l’idea di perfezionismo, contestualizzare la fatica che il nuovo ruolo genitoriale comporta a un periodo circoscritto di tempo e viverlo come un’occasione per imparare e migliorare le proprie competenze.

È fondamentale ritagliarsi del tempo per sé stessi, fermarsi e togliersi i panni da wonder woman.

Annullarsi nel nome della maternità non fa una madre e una donna migliore, ma senz’altro più stanca e frustrata.

Imparare a ricaricarsi è fondamentale e una madre che sa prendersi cura del proprio benessere sarà più serena nel prendersi cura del benessere di suo figlio.

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Articolo realizzato da:
Dott.ssa Elisa Trezzi
Pedagogista e insegnante di massaggio infantile AIMI
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