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Dott. Luigi Cirelli

Dott. Luigi Cirelli

Tecnologie digitali: affrontare la dipendenza

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Come le neuroscienze ci aiutano a capire il rapporto che i nostri figli hanno con gli schermi digitali e ci possono fornire spunti utili per nuovi modelli educativi nell’uso di smartphone, TV, tablet e computer.

Indice

1. Introduzione

Ho una foto nell’album di famiglia che mi ritrae di profilo sul seggiolone. Avevo circa 10 mesi e la foto fu scattata da mio zio. La luce entra da una finestra fuoricampo sulla sinistra e taglia l’immagine come in un quadro di Caravaggio. Ma l’elemento che sorprende immediatamente è il mio sguardo incantato puntato a destra, verso qualcosa che non è ritratto nella fotografia: un elemento magico, ipnotico. La mia attenzione è rivolta verso la televisione di casa. Mia mamma e mio zio però non si ricordano il programma televisivo che stava andando in onda in quel momento (oggi l’avremmo scritto in commento alla foto postata su Instagram).

Ricordo ancora le discussioni tra mamma e papà sul tempo della mia infanzia passato davanti ai cartoni animati: mio padre diceva che perdevo il contatto con la realtà, mentre secondo mia madre non c’era nulla di pericoloso nel guardare Conan – Il ragazzo del Futuro o i Transformers. Persino in certi programmi televisivi e in alcuni articoli di quotidiani e riviste c’era una folta schiera di giornalisti e psicologi che avvertivano sui rischi del tempo passato dai bambini parcheggiati davanti al televisore, in molti casi i “nemici più pericolosi” erano quei “violenti cartoni animati giapponesi” (oggi li definiamo correttamente anime).

Tuttora permane il problema del lasciare i figli sul divano a guardare la TV, problema che si è ampliato drasticamente con l’arrivo di smartphone e tablet che hanno “esportato” il parcheggio dei figli davanti a uno schermo anche in altri luoghi rispetto al salotto (pizzeria, bar, negozio ecc). Basta prendere come esempio questo articolo del Corriere. Sicuramente il paragone rispetto agli anni ’80 non può reggere, in quanto oggi i problemi riguardano altri “ambienti” esperiti tramite gli schermi, in primis i social network. Ma se leggiamo per intero l’articolo di Gabanelli e Tortora (o semplicemente guardiamo tutto il video) ci rendiamo conto che i problemi enunciati dall’OMS e dagli altri enti citati, riguardano in primo luogo il tempo passato davanti agli schermi da bambini e adolescenti. Al di là delle caratteristiche intrinseche dei social network e dei divieti posti dai citati dirigenti della Silicon Valley, Gabanelli e Tortora concludono l’articolo con queste parole:

La questione chiaramente non è la tecnologia digitale in sé, che è sempre più parte integrante della nostra vita, e contribuirà a migliorarla, ma come educare i bambini all’utilizzo dei dispositivi senza diventarne dipendenti”.

La gestione di tempi e modi per lasciare i figli davanti a uno schermo digitale era ed è una questione complessa e proprio per la complessità del tema cercherò di essere esaustivo fornendo consigli in merito a

  1. come impedire che i figli si allontanino dalla “realtà” per vivere in un “mondo virtuale” 
  2. come educare i figli per evitare la dipendenza dagli schermi 
  3. come trasformare la tecnologia digitale in uno strumento educativo e di crescita potente.

Cominciamo con lo sfatare i cattivi miti su film, videogiochi e similari, per cui queste forme di intrattenimento fanno male a prescindere. Ogni discorso in merito alla fruizione di tecnologie digitali o mediatiche deve riferirsi a prodotti specifici e non possiamo cadere in una banale generalizzazione. Red, Lightyear e Alla ricerca di Nemo sono tutti e 3 film Disney-Pixar, ma non sono uguali, non sono consigliabili allo stesso tipo di pubblico, perché non sono rivolti allo stesso target di età e affrontano temi completamente diversi.

In tal senso vediamo di delineare quello che deve essere veramente il dibattito sull’uso di schermi digitali in ambito familiare ed educativo: non bisogna farsi trascinare da facili tendenze pessimistiche, ma basarsi sul funzionamento del nostro cervello, di come cresce in base agli stimoli da cui è circondato e, di conseguenza, quali comportamenti educativi possiamo adottare con bambini e adolescenti.

In questo breve viaggio insieme, vi proporrò di guardare all’educazione e agli schermi digitali secondo un nuovo modello di studio sul cinema e cioè di come il nostro cervello interpreta le immagini in movimento su uno schermo: la “simulazione incarnata”.

2. Premessa teorica: la simulazione incarnata

Negli ultimi anni, un team di scienziati operativo a Parma, ha delineato dei nuovi interessantissimi meccanismi del nostro cervello avviando una rivoluzione nell’ambito delle neuroscienze basato sulla scoperta dei cosiddetti “neuroni specchio”.

In principio si era urlato al miracolo e si voleva spiegare l’intero comportamento umano in base a questa tipologia di neuroni. Ora a distanza di anni, si comincia ad avere una visione più precisa e critica, proprio perché ancora oggi il cervello rimane un organo estremamente complesso da studiare e da capire.

I neuroni specchio sono neuroni che si attivano sia quando una persona compie un gesto, sia quando la persona vede altri compiere quel gesto. Semplificando, il nostro cervello capisce le intenzioni sottese a un movimento sia perché ha capacità cognitivo-emotive e di astrazione, sia perché ha i neuroni specchio. Certamente il cervello si attiva in maniera diversa nelle due situazioni, ma il mito che è importante sfatare è quello per cui un neurone fa una cosa sola e poi collegandosi con gli altri ci fornisce capacità intellettive ed emotive di alto livello. Alcuni neuroni riescono a svolgere più calcoli o ruoli contemporaneamente (sono detti neuroni multimodali infatti) e in tal modo “incarnano” un’azione perché si attivano sia mentre guardiamo un’azione, sia mentre la vediamo fare da un’altra persona (o persino perché udiamo gli effetti di un’azione senza vederla direttamente perché nascosta dietro a una parete).

Gallese e Guerra nel loro libro “Lo schermo empatico – Cinema e neuroscienze”, in base a questo funzionamento del cervello, hanno spiegato come un certo tipo di inquadrature e di tecniche cinematografiche vengono interpretate dal cervello come “simulazione incarnata”.

Semplificando, nel cervello viene “incarnata” la simulazione dell’azione che si vede svolgere da un attore nella scena di un film o di una serie TV, e cioè, se vedo un re che accarezza la figlia, nel mio cervello si attivano dei neuroni specchio che riguardano il movimento delle mani, il tatto, oltre che la vista e l’udito.

Il modello della simulazione incarnata sostiene che il nostro cervello è corpo e che incarna quello che vediamo persino e soprattutto dal punto di vista tattile, perché si attivano neuroni che riguardano sia la vista, che il movimento, che il tatto.

3. Come impedire che i figli si allontanino dalla “realtà” per vivere in un “mondo virtuale”

Per rispondere a tale obiettivo, comincio con una provocazione e cioè che la distinzione tra “reale” e “virtuale” fa acqua da tutte le parti.

Non è forse reale uno smartphone che porto sempre con me in tasca e che mio figlio mi vede utilizzare sempre e ovunque? Non è forse reale la serie di messaggi che una ragazza scambia con i suoi amici per accordarsi su dove e quando incontrarsi o per scambiarsi opinioni sull’ultimo episodio di Stranger Things? Non è forse virtuale l’illusione di un adolescente che si era convinto che una sua compagna di classe fosse innamorata di lui per poi scoprire di essere il “gancio” per l’amico a cui lei era veramente interessata?

Riprendo il modello della simulazione incarnata per cambiare prospettiva e rilanciare in altro modo. Se si hanno bambini piccoli, la visione di video con una visuale in soggettiva che inquadra un paio di mani che disegnano e colorano su un foglio di carta oppure manipolano plastilina o altri materiali plastici per creare piccole statue, è un’attività educativa molto utile.

In tal senso, YouTube può diventare uno strumento avvincente per “avvicinare alla realtà” i bimbi più piccoli, stimolando in loro capacità cerebrali inerenti il tatto e il movimento. Diversamente, YouTube può essere uno strumento pessimo quando un figlio adolescente si nutre di fake news e teorie cospirazioniste che non hanno valenza scientifica.

Da questi due esempi voglio trarre questa conclusione sul nodo reale/virtuale e che vale per l’intero articolo: lascio i miei figli “parcheggiati” davanti a uno schermo solo dopo aver visto quello che c’è sullo schermo. Qualcuno mi dirà: “Ma non posso guardare tutto quello che c’è su YouTube!” E la mia risposta è la seguente: “Allora stai di fianco ai tuo figli e guardi con loro i video sul tablet”. Puoi permetterti il “parcheggio” solo quando si tratta di un film, una serie TV o un video in streaming che già conosci e che hai valutato adatto.

Per i bambini piccoli le storie brevi sono il formato migliore, perché non richiedono tempi di attenzione troppo lunghi e possono essere associate alla lettura di libri come attività integrative. A quel punto diventa molto interessante fare loro domande sui nodi emotivi e sulle scelte dei personaggi che li hanno colpiti maggiormente. Ciò serve per avvicinare al reale l’esperienza di storytelling virtuale.

Questo aspetto di confronto su temi virtuali di film e serie TV può diventare molto interessante da affrontare con figli più grandi, anche e soprattutto per capire la capacità di distinzione tra finzione e realtà che ciascuno sviluppa nel corso del tempo.

4. Come educare i figli per evitare la dipendenza dagli schermi

La questione della dipendenza è già affrontata dall’articolo del Corriere da cui siamo partiti, con l’indicazione di dare dei chiari limiti di tempo nella dieta quotidiana dei figli come consigliato in questo sito. Tali limiti di tempo vengono proposti non in quanto il medium stesso sia pericoloso per i bambini, quanto ai pessimi effetti che causa il rimanere seduti su un divano per ore e ore, primi tra tutti il rischio di obesità e la mancanza di una vita sociale attiva.

La “dipendenza da schermo digitale”, però, è una questione molto vasta e quindi bisogna essere più precisi sulle caratteristiche della dipendenza che vogliamo contrastare. Per figli sotto i 13 anni vanno bene misure restrittive che riguardano il tempo passato davanti agli schermi, senza diventare stringenti su tabelle e quadri orari. Per esempio, se mio figlio ha un disturbo dell’attenzione diventerà un obiettivo importante fargli seguire la storia di un film che dura un’ora e mezza, anche se questa durata sfora rispetto ai limiti prestabiliti dalla tabella. Se si parla di videogiochi ricordo che ci sono esempi di giochi in soggettiva (o POV) che vengono studiati per essere utilizzati coi bambini affetti da dislessia, perchè il problema che vanno a risolvere è quello dell’attenzione visiva: https://www.mamamo.it/news/videogiochi-aiutano-i-bambini-dislessici/.

Per figli al di sopra dei 13 anni e presenti sui social network ho già fatto alcune precisazioni in un articolo precedente citando una ricerca di Vice di qualche anno fa, a cui possiamo aggiungere anche nuovi aspetti emersi coi recenti Facebook Files. Permane il fatto che le attuali strategie di marketing in ogni ambito tecnologico, puntano alla dipendenza dell’utente, che si tratti di un social network (coi meccanismi dei like, correlati, famosi nel mondo ecc), un videogioco (con contenuti a pagamento, DLC, loot box ecc) o una piattaforma di streaming (altri hanno visto, consigliati, in uscita ecc).

Un altro problema enorme dell’attuale mercato digitale riguarda la proposta di “storie infinite” (supereroi, Star Wars, Harry Potter, Il Signore degli Anelli, Pokemon, Fortnite, Call of Duty ecc) che portano i consumatori e soprattutto le giovani generazioni a fissarsi su un solo gioco, una sola serie, un solo genere di film.

In tal senso un primo punto da inserire nelle nostre linee guida è quello di richiedere ai nostri figli di non fossilizzarsi su un solo tipo di format o di contenuti, ma di allegare i propri orizzonti, sperimentando qualcosa di nuovo. La giornalista MacDonald colpisce nel segno quando dice che “chiunque può trarre beneficio da una dieta mediatica più ampia”.

In tal senso, scegliere la strada di un’educazione al consumo consapevole, vuol dire insegnare ai figli il costo della vita, come funzionano i sistemi di pagamento tramite carta di credito e come “disintossicarsi” da un sistema di pagamenti che prevede il continuo rinnovo di skin, potenziamenti e funzionalità premium.

5. Come trasformare la tecnologia digitale in uno strumento educativo e di crescita potente

Per affrontare l’ultimo punto voglio tornare a un aspetto teorico affrontato sempre da Gallese e Guerra, nell’ultimo capitolo del libro citato.

I due studiosi fanno presente come i neuroni specchio e le strutture neuronali che si attivano mentre si guarda un film/video/serie TV sono strettamente legate al cosiddetto “spazio peripersonale” e cioè allo spazio vicino al nostro corpo e cioè vicino al nostro tatto, alla vista e all’udito, all’olfatto e ai movimenti (anche quelli raffigurati mentalmente) che possiamo attivare nelle nostre vicinanze (abbracciare e baciare una persona, toccare una superficie per sentirne la ruvidità, ascoltare il ronzio di un insetto che gira attorno a noi).

Per capire quanto è importante questo aspetto nelle produzioni digitali odierne, basta pensare a come nell’animazione digitale e nei videogiochi è progredita la verosimiglianza grafica delle texture che riguardano la pelle degli umani, la pelliccia degli animali e dei mostri, la ruvidità delle rocce, quasi come se le potessimo “sentire” sotto le nostre dita.

La tecnologia digitale odierna permette di fruire di prodotti audiovisivi direttamente dagli smartphone e tablet che utilizziamo a stretto contatto col nostro corpo e cioè all’interno dello spazio peripersonale.

Ciò significa che la fruizione che esperiamo di un film al cinema o in streaming è completamente diversa: il film in sala comincia e finisce quando lo decide il protezionista, mentre in streaming è manipolabile e gestibile tramite il tocco delle nostre dita e il video viene toccato da noi (i pulsanti di controllo sono sullo stesso schermo touch che riproduce il video).

In tal senso è molto probabile che la fruizione sui dispositivi digitali touch sia molto legata al piacere del tatto e della vicinanza fisica. Non è per caso che centinaia di volte al giorno prendiamo lo smartphone per toccarlo e verificare che non ci siano icone di nuovi messaggi da premere/toccare? Non è che per caso ogni volta che sentiamo il suono della notifica nel nostro cervello “sentiamo” anche l’eco tattile dello sblocco del telefono tramite swipe o con impronta digitale? Non è che per caso la dipendenza da tecnologia di cui parlavamo prima è in buona parte legata a questa “dipendenza tattile” che abbiamo coi nostri dispositivi touch?

Tenuto presente quest’ultimo aspetto, diventa prioritario integrare il modello educativo restrittivo (es. vietare di giocare a Grand Theft Auto, dare limiti di tempo per guardare Disney Plus, creare un account Netflix con parental control) con un modello costruttivo.

Per parlare coi nostri figli di “detox da schermo” dobbiamo fornire strumenti nuovi che riescano a spezzare la dipendenza tattile descritta poco fa in favore di nuove modalità di fruizione e ripensamento della vita passata davanti a uno schermo.

Posso fare diversi esempi come conclusione al nostro breve viaggio partendo dai bambini più piccoli:

  • stare coi nostri figli quando utilizzano un device digitale, per notare cosa piace loro, come navigano nell’interfaccia grafica delle app, quali sono immagini/colori/icone che li attraggono maggiormente
  • lasciare i nostri figli da soli davanti allo schermo una volta che abbiamo appurato che sanno utilizzare correttamente l’applicazione, per dare loro fiducia e lasciare loro uno spazio personale di crescita e di svago
  • intervenire quando si innescano meccanismi di loop di fruizione nella ripetizione di determinate sequenze di gesti quali la continua visione della stessa puntata o frammento di un video o di reiterazione nell’ascolto di una canzone, proponendo alternative quali nuove puntate non ancora viste o serie TV nuove o nuove playlist di canzoni con icone o colori diversi rispetto all’abitudine
  • integrare la visione di video in POV con mani che disegnano e plasmano, proponendo nella vita reale di ripetere quanto visto nei video per poi variare con nuovi soggetti da colorare/disegnare/plasmare
  • chiedere loro quali sono film, canzoni, serie TV, videogiochi e video su YouTube preferiti e il motivo: prestiamo attenzione e avremo delle belle sorprese in merito.

Per quanto riguarda le proposte costruttive da provare con figli adolescenti ritengo importante

  • confrontarsi su film, videogiochi, serie TV e altri prodotti multimediali che si sono sperimentati nell’ultimo periodo, concentrandosi sulle differenze tra i nostri gusti e i loro e, soprattutto, sugli elementi di affinità
  • stare con loro (magari una sera a settimana decisa insieme o anche con un’attività giornaliera) mentre giocano, guardano qualcosa, navigano online e capire cosa piace loro, chiedendo di spiegarcelo quando noi non riusciamo a trovarci gusto
  • proporre loro delle sfide in vari ambiti virtuali/reali, dal videogioco al gioco in scatola, dalla briscola al quizzone di memoria su personaggi ed episodi di una serie TV che piace a entrambi
  • approfondire gli aspetti emotivi di certe scene di film, serie TV o videogiochi, confrontandosi per capire cosa ha emozionato noi e cosa ha emozionato loro e soprattutto quali elementi (dialogo, immagini, parole ecc) hanno suscitato maggior coinvolgimento
  • mettere a fuoco l’importanza delle texture lasciando in pausa il film o il videogioco per avvicinarsi allo schermo e analizzare da vicino la pelle o la pelliccia del personaggio che ci hanno colpito, chiedendo esempi dalla vita reale di tali texture (es. la pelliccia del furetto che avevamo visto allo zoo, la pelle di tua sorella quando era una neonata).

Vi lascio ricordandovi che il funzionamento del nostro cervello e di come si rapporta al mondo è sempre in fase di studio, ma proprio provando ad applicare quanto di nuovo si sa su di esso, possiamo tentare nuovi approcci educativi coi nostri figli che siano percorsi interessanti anche per loro, proprio perché sperimentali e innovativi.

Quello che sto cercando di dire è che quando il viaggio di crescita familiare diventa un viaggio avventuroso da fare insieme, il percorso educativo che viviamo coi nostri figli può assomigliare più a un gioco che non a un divieto costante.

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Articolo realizzato da:
Dott. Luigi Cirelli
Media educator
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